"Un vecchio e un bambino si preser per mano, e andarono insieme incontro alla
sera".
Questo immortale verso di Guccini mi ha sempre
commosso, e anche se adesso, in questi tempi cinici e spietati, proliferano
battute tristi (il vecchio è un pedofilo, ha ha) una delle cose più belle del
creato è l'amicizia tra gli anziani e i
fanciulli, due categorie accomunate più di quanto non si creda, nel loro
bisogno di attenzioni, nel loro essere le persone più deboli e indifese della
società.
Purtroppo adesso l'amicizia tra vecchi e bambini è
un qualcosa di sempre più raro, visto che molti genitori non insegnano più il
rispetto ai loro figli; ma non è questa la sede di pistolotti morali, questo
discorso serviva solo da introduzione per il libro che oggi vi presento.
Emilia Villoresi, nata a Milano da una famiglia
molto importante, fu una narratrice e poetessa senza troppe fortune editoriali,
ormai quasi dimenticata. Nota soprattutto per aver tradotto per Vallardi
l'incantevole saga di "Bibi, una bimba del nord" di Karin Michaelis
(e per averne scritto un seguito apocrifo, Bibi si sposa) la Villoresi scrisse
in tarda età anche due romanzi brevi per ragazzi, pubblicati da Mursia in un
unico volume; i due testi sono "Lauretta", delicata ma convenzionale
storia di un'orfanella che da il titolo al volume, e "Colibrì", di
cui parlerò in questa occasione.
Un bellissimo ritratto dell'autrice giovane
Siamo negli anni sessanta, in pieno Boom economico,
nella grigia e triste periferia di Milano, quella di quartieri come Metanopoli
e Quarto Oggiaro.
In questo importante periodo storico le grandi città
del nord scoprivano l'immigrazione di massa dal mezzogiorno ma anche dalle
campagne limitrofe, e principiarono a nascere i quartieri dormitorio, con
palazzoni decisamente tetri nei quali trovavano (e trovano) alloggio decine di
famiglie; iniziò così una nuova realtà, in piena controtendenza nel paese
provinciale e accogliente per
eccellenza, delle famiglie che abitavano gomito e gomito senza conoscersi, un
cambiamento irreversibile e oggi sempre più una consuetudine.
Il volume Mursia che raccoglie i due romanzi brevi.
In uno di questi edifici abita una giovane vedova
con una bambina, Eliana detta Lea. Una bambina vivace, simpatica, dolcemente
impertinente, un'adorabile monella piena di voglia di vivere. Ma un brutto
giorno Lea contrae il terribile virus della Poliomelite (un vero flagello al
tempo, oggi per fortuna solo un brutto ricordo) che la lascia senza l'uso delle
gambe. La bambina, lasciata sola da tutti i suoi amici che l'hanno pian piano
dimenticata, anziché esibire un poco credibile ottimismo alla Pollyanna diventa
una creatura astiosa, irascibile e piena di livore, che tratta la madre con
studiata crudeltà, in pagine abbastanza dolorose e dure per un libro destinato
ai ragazzi.
Ma un giorno, nella vita della piccola Lea, compare un dolce e sensibile vecchietto, il signor Timoteo
chiamato "Colibrì" perché piccolo piccolo. Questo ometto curvo e
dall'aria buona, oggetto di scherzi non sempre simpatici da parte dei bambini
del quartiere, che sopporta tutto con il sorriso, ha in realtà una storia
dolorosa alle spalle; ha attraversato due guerre, nella prima ha perso una
gamba e nella seconda il figlio è dato per disperso in Russia, e ormai stanco e
solo ha abbandonato il paesino del Veneto in cui ha vissuto una vita facendo il
restauratore e ha preso un modesto alloggio nella grande città, in modo da passare
i suoi ultimi nell' anonimato di quei formicai umani.
Il vecchio ha però una ricchezza; alcune decine di
libri lasciatigli in eredità da un antico commilitone a cui aveva salvato la
vita a Caporetto poi perso di vista, il quale poi diventerà un libraio ambulante
proprio tra le piazze di Milano, e che dopo la sua morte lascerà tutto il suo
patrimonio cartaceo, i libri ancora invenduti, al compagno d'armi mai
dimenticato, il quale allevierà la sua solitudine grazie ad essi.
Un giorno come tanti Colibrì, che abita nello stesso
caseggiato di Lea, scorge la madre della
fanciulla che piange, e quando il vecchio con premura le si avvicina la donna
non esita a narrare la propria storia a quello sconosciuto dall'aria
rassicurante, e a chiedergli perfino di fare compagnia alla figlia mentre lei
va a servizio (cosa oggi non più credibile nemmeno come espediente
narrativo...).
In ogni caso, il vecchio si reca dalla fanciulla,
che dapprima lo accoglie con malagrazia ma, come in ogni favola che si rispetti
(perchè in fondo questa è una favola) , tra i due cresce poi un'amicizia sempre
più intima e forte, tanto che lei giungerà a chiamarlo nonno. I due emarginati
avranno così il rispettivo conforto della loro amicizia, Colibrì leggerà a Lea fiabe dal sapore Perodiano (che occuperanno un
buon terzo del testo), e la ragazzina inizia così a uscire dal cupo baratro di
rabbia in cui era sprofondata.
Il finale poi (è pur sempre un libro per ragazzi..)
riserverà poi bellissime sorprese a entrambi i protagonisti, con un finalone
lietissimo proprio nel giorno di natale.
Per cui, opera da un lato ingiudicabile nelle sue
ingenue forzature romanzesche, ma documento importante di una Milano
proto-metropoli e soprattutto storia di alta moralità, che dovrebbe
assolutamente essere riscoperta e proposta come libro per le vacanze ai ragazzi
della scuola media; un libro come "Colibrì" è un vero toccasana per
l'anima, tanto più in un'epoca come la nostra in cui vecchi e bambini non sono
mai stati così lontani. Io a 32 anni, sono stato felice di passare un'ora e
mezzo tra le pagine di questa storia incantevole, e credo che molte persone
sensibili, di ogni età, lo sarebbero altrettanto.
-VOTO; 8 (soprattutto alle buone intenzioni
dell'autrice)
-REPERIBILITA' ;
un libro fuori catalogo, ma non raro; potreste trovarlo in una qualsiasi
bancarella a pochi euro.