mercoledì 3 settembre 2014

“IL DESERTO DEL CUORE” DI MARY WESTMACOTT (AGATHA CHRISTIE)



Ok, come primo post grande sorpresa; Agatha Christie.

Non c’è niente da fare, quest’autrice mi perseguita; avevo aperto Assassini e gentiluomini con un articolo su di lei, e, tanto per ribadire una continuità ho deciso di aprire anche questo nuovo blog con un articolo che la riguardasse, anche se stavolta non parlerò di lei come giallista, ma vi parlerò di Mary Westmacott, l’anima rosa di una grande lady del romanzo Inglese del novecento, non solo poliziesco.
 
 
un ritratto "rosa" dell'autrice
 

Da quando Mondadori, dal 2010 in poi,  li ha riproposti tutti e sei nella collana “Oscar emozioni” in molti ormai sanno che Agatha Christie, la regina del Mystery, scrisse anche dei romanzi sentimentali sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott, una specie di vacanza tra un delitto e l’altro, simile in questo ai romanzi storici che Conan Doyle scriveva per “disintossicarsi” da Sherlock Holmes.

Il primo, “Il pane del gigante”, è del 1930, quando l’autrice non era ancora una stella di livello planetario, e gli altri cinque si susseguirono piuttosto casualmente fino al 1957.

Di questi libri, tutti piacevoli e interessanti, quello che senz’altro è il più bello e il più notevole dal punto di vista letterario è “Absent in the spring”, ovvero “assente nella primavera”, citazione Shakesperiana che noi lettori Italiani evidentemente non meritavamo, visto che il testo è uscito col ben più prosaico titolo “Il deserto del cuore”.
 

 
Dunque, se gli altri romanzi sentimentali di Agatha sono libri più o meno canonici, questo Absent in the spring è quasi un libro anti-romantico, tanto che ero indeciso se parlarne o meno su questo blog.

La storia, in pratica, è inesistente; niente love story palpitanti, niente gentildonne che fanno cadere guanti nè militari desiderosi di mostrare il loro coraggio in guerra e in amore. No, qui abbiamo una signora di mezza età, Joan Scudamore, sposata con Rodney, avvocato di provincia di discreta fama, e con tre figli a loro volta sistemati; la prima, la cinica e fredda Averil, vive a Londra col marito agente di cambio, il secondogenito Tom, indolente e sognatore,  gestisce un aranceto in Rhodesia e ha sposato una ragazza del posto che gli Scudamore non hanno mai nemmeno visto e la figlia più piccola, la sensibile Barbara, vive col marito a Baghdad.
 
 

Proprio da quest’ultima, convalescente da un’intossicazione alimentare, si è recata Joan nell’intento di badare a lei, al giovane William Wray e al loro figlioletto Mopsy. La sua presenza sembra far bene alla giovane coppia, e la donna se ne va tranquilla. Sulla via del ritorno, però, le piogge costringono Joan a rimanere bloccata in una remota stazione in pieno deserto, al confine tra Siria e Iraq. La donna si trova quindi completamente sola, in mezzo ad indigeni che non capisce  e non la capiscono, costretta in una stanza buia e scomoda, senza nemmeno un libro da leggere (che situazione orrenda, sarei in crisi nera pure io!) e quindi non le resta altro da fare che passeggiare nel deserto e pensare, pensare e pensare; e pian piano il lettore viene trascinato nel flusso di coscienza di Joan, rivive le sue esperienze, il suo mondo fatto di granitiche certezze, il suo sentirsi in pace con se stessa e i suoi cari. Ma, d’improvviso, si affacciano alcuni interrogativi sempre più inquietanti; perché la figlia Barbara e il genero non volevano parlare della malattia di lei e restavano sgomenti ogni volta che Joan toccava l’argomento? E perché i figli si sono sempre confidati con il padre e non con lei, che pure era ben più spesso accanto a loro? Partendo da questi punti interrogativi, Joan, in una spietata e lucida autoanalisi, smantella da sola tutte le sue certezze, rivelandosi per una creatura arida, profondamente egoista e fin troppo miope. E il treno che, arrancando faticosamente, arriverà fino a quell’avamposto sperduto, troverà una passeggera profondamente cambiata, finalmente consapevole di tutti i castelli di carta da lei stessa eretti, chiedendosi se non sia troppo tardi per cambiare vita, per rimediare al male fatto, seppur involontariamente, al marito Rodney e ai figli.

Quindi, un romanzo fortemente sentito, forse autobiografico, senz’altro sincero. Naturalmente la Christie non era Virginia Woolf, il suo stream of consciousness è molto più all’acqua di rose, ma il libro rapisce, appassiona e riesce perfino  a turbare. Un romanzo da regalare alle molte, troppe persone  (di entrambi i sessi) che credono davvero, quasi sempre assurdamente, di essere stati ed essere coniugi e genitori perfetti e inappuntabili. E il libro contiene anche un profondo insegnamento, un monito che mi sento di condividere; non è mai troppo tardi per cambiare, per migliorarsi, per capire chi ci circonda. E se lo scopo del libro era di far pervenire questo messaggio, allora la grande Agatha ha fatto centro come nei suoi più diabolici plot polizieschi, e noialtri lettori dobbiamo cavarci rispettosamente il cappello di fronte al talento multuforme della signora Christie, pardon Westmacott.
 
 
 
-VOTO ; 9
-REPERIBILITA'; ottima, si trova in tutte le librerie.
 

2 commenti:

  1. Ciao Omar! Complimenti per questo nuovo blog, anche se spero non abbandonerai quello vecchio, apprezzando molto i tuoi consigli di lettura.
    Non ho ancora letto questo libro della Christie, ma ho finito da poco "Rosa d'autunno". Mi è piaciuto davvero tanto, non pensavo potesse coinvolgermi come ha fatto.
    Mi sentivo nella piccola cittadina di St Loo, insieme ai protagonisti e catapultato insieme a loro nell'atmosfera febbrile delle elezioni.
    C'è pure una domanda che volevo porti. La frase finale ( che poi dà anche il titolo al libro nella versione originale) sulla rosa e sul tasso. La frase di Teresa che dice che Isabella ha vissuto una vita completa..Eppure Isabella era terrorizzata dalla morte( cosa che rende ancora più eroico il suo gesto finale). Insomma sono curioso di sapere la tua impressione sul discorso di Teresa a pagina 251-52.
    Mi piacerebbe davvero comprendere a pieno la citazione iniziale di Eliot che dà l'avvio al libro:"Il momento della rosa e il momento del tasso hanno uguale durata".
    Grazie Omar!

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  2. Ciao Giuseppe! tranquillo, non abbandonerò il vecchio blog, ho pronti già 2 articoli... in questo periodo mi manca proprio il tempo di postare, come vedi sono fermo anche con questo.
    RIguardo alla tua domanda, ti rispondo tra qualche giorno perchè il libro "La rosa e il tasso" (io ho l'edizione RIzzoli) è dai miei, e poi cercherò (dico cercherò perchè non sono un genio dell'interpretazione dei versi) di rispondere al tuo quesito. In ogni caso, la frase di Eliot credo che voglia significare che sia la fioritura della ROsa che quella del Tasso sono brevi, quindi passano alla svelta sia le cose magnificamente belle che i dolori..almeno credo? boh.

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